Come aumentare la propria autostima
Avere un’alta o bassa autostima questo è il problema.
Partiamo dal presupposto che in quanto individui dinamici e con risorse e potenzialità spesso sconosciute per prime a noi stessi, l’autostima come caratteristica psicologica può essere modificata e quindi migliorata. Avviciniamoci a questo concetto con la definizione generica di autostima: “Considerazione che un individuo ha di sé stesso”. Una definizione psicologica, maggiormente esaustiva, che può aiutarci a comprenderne meglio il vero significato, ci viene data da Nathaniel Branden uno dei maggiori esperti sul tema: “Fiducia nelle nostre capacità di pensare e di superare le sfide fondamentali della vita” e “Fiducia nel nostro diritto al successo e alla felicità, nel nostro diritto di affermare le nostre necessità e desideri, di realizzare i nostri valori e goderci i frutti dei nostri sforzi; la sensazione di valere e meritare tutto questo”. Dalla definizione di Branden capiamo che un atteggiamento generico di fiducia in sé stessi è alla base di una sana autostima, ma questa fiducia è innata e definita una volta per sempre o può essere il frutto di un lavoro che una persona può fare per raggiungerla? Se diamo per buona la nostra premessa, di essere individui dinamici, la risposta è scontata, ovvero, anche se non possediamo una fiducia innata nelle nostre capacità possiamo acquisirla attraverso un percorso lento e graduale di crescita personale, teso alla conquista di un buon livello di autostima. Secondo Branden il percorso che migliora la nostra autostima passa attraverso sei punti cardine chiamati “i sei pilastri dell’autostima”.
Vediamo nel dettaglio quali sono
La pratica di vivere consapevolmente: sviluppare un sano realismo; riconoscere le cose per quelle che sono senza l’illusione che i nostri sentimenti siano una guida infallibile per giungere alla verità;
preoccuparsi di distinguere tra i fatti, le interpretazioni e le emozioni.
La pratica dell’accettazione di sé: l’accettazione di sé è il rifiuto di essere in rapporti di antagonismo con se stessi.
La pratica del senso di responsabilità: sono responsabile delle mie scelte e delle mie azioni?; Sono responsabile della realizzazione dei miei desideri? Nessuno mi deve la realizzazione dei miei desideri; Sono responsabile della mia felicità? rendermi responsabile della mia felicità mi dà un grande potere: la mia vita è di nuovo nelle mie mani.
La pratica dell’affermazione di sé: l’affermazione di sé è semplicemente la volontà di occupare le mie posizioni, essere apertamente quello che si è, trattare se stessi con rispetto nell’incontro con gli altri. La mia vita non appartiene ad altri e non sono su questa terra per rispondere alle altrui aspettative.
La pratica di darsi un obiettivo: prendersi la responsabilità di formulare consapevolmente i propri obiettivi; identificare e riconoscere le azioni necessarie per raggiungere i propri obiettivi; monitorare il proprio comportamento per verificare che sia in linea con gli obiettivi che ci si è posti.
La pratica dell’integrità personale: integrità vuol dire coerenza, parole e comportamento devono coincidere, quando il nostro comportamento è in conflitto con le nostre convinzioni, perdiamo la faccia davanti a noi stessi. Il percorso non è semplice né tanto meno rapido. Per poterlo intraprendere bisogna ammettere a se stessi, innanzitutto, con estrema chiarezza e sincerità i propri limiti e timori senza spaventarsene.
I primi nemici dell’autostima con i quali avere a che fare sono la pigrizia e l’evitamento del disagio. Tuttavia, non è facile mettere in discussione le nostre modalità tipiche di far fronte alla realtà (e alle sue intrinseche problematiche), esse infatti ci appartengono, spesso in modo inconsapevole, e sono l’unico modo che conosciamo per far fronte agli ostacoli della vita. Riconoscerle sarà il primo passo verso la conquista dell’autostima (primo pilastro). Potrà sembrare strano ma anche quelle modalità (“meccanismi di difesa” in gergo psicoanalitico), che provocano del dolore, del disagio, paradossalmente, sono più sicure (e quindi maggiormente utilizzate) perché già conosciute. Per esempio il senso di responsabilità (terzo pilastro) ci obbliga a prendere atto della nostra solitudine di fondo, a rinunciare alla fantasia di un soccorritore, qualcuno che possa risolvere per noi i nostri problemi, mettendoci di fronte ad una scelta: affrontare con maggior coraggio le nostre responsabilità e godere della gratificazione di sentirsi autosufficienti (e quindi aumentare la propria autostima anche per compiti futuri) o rifugiarsi nell’aiuto di qualcuno che si assume al mio posto la responsabilità (e magari poi mi chiede il conto) aiutandomi nella contingenza specifica, ma togliendomi la possibilità di crescere e quindi di acquisire sicurezza ed innalzare la mia autostima. La seconda scelta può far parte di una modalità tipica (disfunzionale), apparentemente comoda, dell’affrontare la vita, la quale come possiamo immaginare ha delle conseguenze a lungo termine che minano la possibilità di accrescere l’autostima.
Sostiene Branden: “Se il percorso fosse semplice, se non richiedesse uno sforzo e non fosse faticoso e difficile, se non occorresse una buona dose di coraggio e perseveranza, tutti avremmo una buona autostima. Ma una vita senza sforzi, lotte o sofferenze non esiste, resta un sogno infantile. Una sana e robusta autostima ci permette di sperimentarci come attori protagonisti delle nostre scelte, di affermare noi stessi, di sentirci più forti, pieni di risorse, sviluppando l’equivalente spirituale di una buona muscolatura”
Il risultato finale, la conquista di un alto livello di autostima, appagherà pienamente i sacrifici fatti, facendoci sentire più potenti ed energici, in modo da vedere gli ostacoli della vita da una prospettiva realistica e acquisire gli strumenti per poterli superare.
Andrea De Simone, Psicologo