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Web Reputation, la difesa della propria identità online

8 agosto 2022

C’è un termine, entrato negli ultimi anni prima nel vocabolario comune e poi, sulla
Treccani: googlare. Il verbo in questione indica molto di più della mera azione di
ricerca sul web, ma abbraccia un concetto più ampio, quello della conferma di una
nostra iniziale percezione. Per capirne realmente la forza e la portata innovativa
basta guardare alle nostre azioni quotidiane: ho visto un prodotto, ho sentito alla
radio il nome di una certa località, mi hanno parlato bene di un certo dentista, in
tutte queste situazioni, l’azione che immediatamente segue il primo impulso (per
usare un termine caro al marketing) è quella di cercare conferma online e appunto
googlare: il nome della località in questione, o del professionista sanitario, o del
prodotto specifico, per tornare all’esempio sopracitato. Nel nostro viaggio online,
alla ricerca di conferme e recensioni positive (i professionisti del marketing
chiamerebbero questa fase Zero Moment of Truth (ZMOT) ci imbattiamo in una
serie di informazioni, frutto di recensioni e giudizi altrui, lasciati nel grande spazio
libero del web. Già lo spazio libero del web, un mondo senza vincoli e barriere che
rischia di essere anche un mondo senza regole. Cosa succederebbe infatti se, per
tornare all’esempio di cui sopra, googlando sul web mi imbattessi in una serie di
recensioni negative sul professionista sanitario di cui stavo cercando informazioni,
quali effetti avrebbero sulla mia scelta, quali sulla reputazione del sanitario in
questione?
Qui veniamo al nodo forse più spinoso della web reputation, che comprende non
soltanto tutte le informazioni che forniamo noi in prima persona sul web o sui nostri
account social: foto, video, pensieri condivisi in libertà, ma altresì ciò che gli altri più
o meno consapevolmente, più o meno volontariamente scrivono su di noi. Foto
pubblicate da altri, recensioni lasciate su portali dedicati, post pubblicati sul proprio
account che fanno riferimento ad uno specifico prodotto, articoli scritti su blog. Gli
esempi sono tendenzialmente infiniti, così come le occasioni che il web offre per
esprimersi. Cosa ha spinto quella persona a raccontare in termini negativi
l’esperienza vissuta, quali erano le aspettative dell’acquirente sul prodotto? In realtà
le variabili sono tantissime e spesso e volentieri, diventa difficile per l’avventore che
legge un commento o una recensione sul web, riuscire a cogliere le mille sfumature
che si celano dietro una frase e che sono sintetizzate in una recensione negativa, o
in un Non mi piace, piuttosto che in una emoticon con l’espressione arrabbiata, o in
un coinciso non lo consiglio. Ma chi controlla tutta questa mole di informazioni, cosa
​possiamo fare realmente per tutelarci? Vero, il web è sì un mondo virtuale, ma non
svincolato dalle leggi, quindi in teoria, possiamo far valere gli stessi principi e le
stesse norme che disciplinano nel mondo reale il diritto all’immagine, alla
reputazione, e parimenti la tutela dalla diffamazione. Purtroppo però, non sempre è
così semplice. Ancor più tortuoso il diritto all’oblio, la sacrosanta richiesta di non
essere marchiato a vita online, di veder cancellati dati e informazioni, non (più)
corrispondenti alla nostra identità. Il monitoraggio costante, la costruzione della
web reputation diventano così elementi imprescindibili per il privato cittadino e
ancor più per le aziende.
Dario Scrivano – avvocato e socio Aidr

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